Io sono andato avanti nella lettura perche'
dove non trovavo punti interessanti passavo oltre.
....
non era quello che mi aspettavo.
Se dovessi fare un paragone con questo altro grande:
Amazon.com: Alone in the Wilderness: Dick Proenneke, Bob Swerer Sr., Bob Swerer: Movies & TV
direi che non c'e' storia,questo e' wildrness.
Ho visto il film ma non ho letto il libro.
Ma immagino che era questo il libro adatto a me.
Caro Silvano (quando si dice: nomen omen, o meglio ancora "un nome, un destino"

), quelle parole che avrei voluto scrivere su "Walden" le avevo lasciate apposta in sospeso perchè "temevo" che prima o poi qualcuno sarebbe irmasto deluso. Più che altro intendevano essere delle "precauzioni d'uso" nella lettura...ma poi ho soprasseduto: e sai perchè ?
Perchè i "consigli d'uso" (un po' come la posologia dei farmaci indicata sui bugiardini) sono in ogni caso troppo semplicistici rispetto alla complessità del problema generale che sta alla radice, e non lo risolvono.
QUesto problema è il misteriosissimo segreto della comunicazione: il rapporto tra chiunque voglia comunicare qualcosa e tutti coloro cui si rivolge.
Che ciò avvenga attraverso la scrittura, le arti figurative, la musica, l'arte in genere, la questione è sempre la stessa: chi scrive vuol comunicare UN messaggio, chi recepisce riceve MILLE messaggi diversi. Per il semplice fatto che UNO invia, mentre TANTI ricevono. Perchè parliami di arte, dunque di umanesimo, che non è categorizzabile in qualcosa di oggettivo come lo sono i numeri: e infatti nessuno comunica qualcosa utilizzando la matematica o la fisica, sebbene anche queste riservino spesso sorprendenti armonie che hanno dei bagliori artistici.
Non parliamo poi quando i messaggi attraversano i decenni o i secoli, quando cioè a uno che comunica corrispondono intere generazioni a recepire, con tutte le trasformazioni "mentali" che già il solo fatto del progresso comporta sulla specie umana: la perdita di certe sensibilità e l'acquisizione di "nuove" sensibilità, un po' come l'impossibilità di imparare qualsiasi altra lingua nello stesso modo in cui si è avuto l'imprinting, unico e irripetibile, di quella madre: vibrazioni, fonetica, slang. La scomparsa di certi modelli e il sorgere di nuovi, anche modelli assolutamente "di base" come la bellezza femminile, basti pensare a chi mai avrebbe oggi l'istinto di considerare "belle" le donne sei-sette-ottocentesche considerate tali in infinite rappresentazioni artistiche, per non voler riandare alle Veneri di 2-3 millenni fa. Oppure se oggi ci si sognerebbe di ispirarsi nell'edilizia e nell'architettura ai canoni estetici del barocco.
Ma non solo: ancora più alla radice c'è la questione del rapporto tra chi parla e chi ascolta. Che per quanto mi riguarda io ho sempre visto così: chi parla ha il diritto di esprimere tutto ciò che si sente di dire, e di prenderso tutto lo spazio che gli serve; ma deve mettere in conto che chi ascolta ha anche lui, a sua volta, il sacrosanto diritto di ascoltare
solo ciò che vuole, che gli piace, che ritiene utile.
E' proprio per questo che "un" messaggio si trasforma in inifiniti mesaggi ni entrata; che quel "saltare pezzi" che tu hai fatto io lo trovo più che legittimo. E' esattamente quello che moltissimi lettori hanno fatto per opere enciclopediche, dove ciascun lettore ha il diritto di "costruirsi" il proprio specifico, personale distillato di ciò che legge.
Mi viene in mente "I Miserabili": a tutt'oggi sono rimasto lettore di una storia che mi commosse ignorando totalmente le centinaia di pagine di pura rievocazione storiografica. E così facendo non credo affatto di aver mancato di rispetto a Vuctor Hugo. Così come basta pensare all'eterna diatriba tra chi esalta e chi detesta quel tormentone dei nostri anni liceali, "I Promessi Sposi", e se siano oppure no un cardine della nostra letteratura.
Ma tutto questo avviene per un motivo molto semplice: perchè i nostri occhi non "guardano" tutto ciò che "vedono", nè le nostre orecchie "ascoltano" tutto ciò che "sentono", ma solo una parte.
Si
guarda e si
ascolta ciò che NOI
scegliamo di vedere e sentire, ossia ciò che ci
appaga.
Una bruttura (intesa in modo del tutto soggettivo) può imporsi alla vista o all'udito, non allo sguardo o all'ascolto;
e lo stesso vale quindi per la lettura, che essendo immaginazione è come un concentrato di sensazioni: vista, udito, olfatto. Il bosco di Thoreau nel quale il lettore di Thoreau si "aspetta" di inoltrarsi attraverso il suo libro è tutto questo: ma le sensazioni di chi scrive non possono appagare le attese, molteplici, diversissime, infinite, di
tutti coloro che leggono. E' chi legge che deve filtrarle, distillarle, trovare il personale "precipitato" di quel bosco o, semplicemente, riconoscere che le proprie attese non sono state per nulla avvicinate. Più che legittimo ! E' un diritto.
Certo, si potrebbe obiettare se sia giusto o meno che un lettore si avvicini "condizionato" dalle attese oppure se debba farlo a cuore aperto, e in questo senso la mia opinione è che in generale i consigli o le recensioni di libri (come di film, o di qualsiasi forma di arte) rischino sempre di essere controproducenti, ma qui si aprirebbe un altro discorso.
Qui voglio solo sottolineare come la questione abbia implicazioni concretissime anche nel nostro piccolo: io sono del tutto cosciente che chi mi legge ha il pieno diritto di ignorare in tutto o in parte ciò che scrivo nei miei post, se li ritiene logorroici, troppo lunghi, faticosi da portare a termine, se in altri termini il dis-piacere della lettura sopravanza l'eventuale piacere dei contenuti. E per questo non mi sono mai sognato minimamente di "offendermi" se molti l'hanno fatto o anche detto, anzi !
Ciao!