Escursione M.Amaro per la Rava della Giumenta

Complimenti, mi hai fatto tornare alla mente uno dei miei 3 "Amari", probabilmente quello più ventoso e più freddo, oltre che l'unico pienamente invernale (28 dicembre).
Memorabile la luce tardo pomeridiana vissuta in vetta e il tramonto vissuto in discesa fino all'ultimo istante, a costo di farci l'ultima ora praticamente al buio :). Ma data la brevità delle giornate era inevitabile.
Indubbiamente una delle montagne appenniniche cui sono più affezionato.

P.S. il rifugio si chiama Pelino. Comunque comprensibile il lapsus freudiano :p
P.S. 2 : guarda che il Granpa (perlomeno se fatto in 2 giorni con pernotto intermedio) potrebbe rivelarsi quasi una passeggiata rispetto all'Amaro, a volte le quote in sè incutono un timore ingiustificato, specialmente quando non presentano soverchie difficoltà tecniche. Contano i dislivelli, le condizioni meteo, della neve, i dosaggi delle forze che persino la motivazione infonde o meno (a seconda dell'obiettivo).
Occhio alla quota però.Spesso costituisce la discriminante maggiore,a prescindere dal dislivello,dalle inclinazioni o da altre componenti.
 
Ciascuno di noi almeno una volta si è spinto in montagna con la motivazione più o meno confessata di "compere l'impresa", qualcosa che almeno soggettivamente sentiamo come tale, vuoi che si tratti di salire su una collina in un giorno in cui non te la senti proprio vuoi che si tratti di conquistare la cima del Monte Bianco.
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Direi che in questo caso - a prescindere dalle tue motivazioni personali - l' "impresa" ci sta tutta, e se qualcuno è salito lassù per questo ne è valsa veramente la pena!
L'impresa... l'impresa... Probabile, ma credo che più o meno inconsciamente un montanaro schietto si attenga alla massima di Mishima "Non so eccellere sugli altri. So eccellere soltanto su me stesso".
La Majella è sicuramente il territorio appenninico che meglio si presta a questo tipo di imprese interiori, e io stesso ne ho compiute con cadenza quasi annuale.
Ma a mio parere non stiamo parlando di una montagna qualsiasi, stiamo parlando di un massiccio che è un'emblema appenninico ancor più del Gran Sasso: per la lunghezza e la solitudine delle sue tante vie di salita e per quel tormentato altopiano di fossili e ciottoli calcinati a oltre 2.500 metri di quota, regno del vento e del silene.
Un massiccio con risvolti mistici già giustamente individuati da Silone che scriveva: "La Maiella è il Libano di noi abruzzesi. I suoi contrafforti le sue grotte i suoi valichi sono carichi di memorie. Negli stessi luoghi dove un tempo, come in una Tebaide, vissero innumerevoli eremiti, in epoca più recente sono stati nascosti centinaia e centinaia di fuorilegge, di prigionieri di guerra evasi, di partigiani, assistiti da gran parte della popolazione".
 
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