Concordo: il tempo da spendere sulla carta, fisica o elettronica che sia, è quello a casa per pianificare e far giocare la mente: in uscita il gps mi fa andare sicuro e veloce.
Io mi sto divertendo a usare la carta nelle soste per traingolare e identificare cime e "ri-coniscere" il territorio.
Il problema come dici tu è l'uso. E nemmeno tanto l'uso dello smartphone (se usato in ambienti adatti, con back ups e senza usarlo per navigare ma solo x controllare offline ogni tanto può fare il suo), ma l'uso di tracce scaricate dalla rete, non consapevole, non preparato. In alcune occasioni ho volutamente preso tracce dalla rete non note, studiandomele su basecamp per poi mappare i punti di rischio e le vie di fuga. È stato divertente.
Rispondo qui anche a
@Montinvisibili per come la vedo io.
Questione preliminare, che - a quanto constato - viene data per scontata.
Ossia la capacità di utilizzare lo strumento.
La quale è innanzitutto una questione di predisposizione. Non ho mai capito - ed è la curiosità che mi piacerebbe togliermi - se tutti gli appassionati (non voglio dire "fanatici") della tecnologia, i cosiddetti "smanettoni" per capirsi, abbiano mai studiato e imparato da qualche fonte del tutto esterna (libri, corsi, altre persone) oppure, come immagino io, sia stato tutto un lavorio da autodidatti, un
learning by doing, un po' come lo è il linguaggio per i bambini piccoli, che lo imparano ascoltandolo e non certo facendosi insegnare la grammatica.
Ma questo, se effettivamente è così, presuppone a sua volta quella predisposizione mentale di cui dicevo: se uno è "negato" (come suol dirsi), non riuscirà mai in questo. E non c'è cosa più dis-appassionante che prendere atto di una propria incapacità.
Io il GPS ho avuto più occasioni di averlo in mano, e nonostante le spiegazioni ricevute non sono mai riuscito a cavare un ragno dal buco. Una volta, ricordo, mi trovavo proprio con Andrea DB a Courmayeur, mi affidò il suo gps per andarmene in giro per conto mio, e mi ritrovai a fare una bella serie di giri quasi in tondo, senza mai riuscire ad allontanarmi dal paese...


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Detto questo, poso il mio sguardo sugli altri e vedo che invece hanno una naturalezza nel suo uso che io semplicemente mi sogno: a partire dalla fase "preliminare" che vedo tante volte sottolineata, ossia la pianificazione del percorso a casa. Individuare tracce, scaricarle, studiarle appoggiandosi su base cartografica, addirittura individuare "vie di fuga"...
Detta così, francamente, ogni volta sembra di assistere a gente che sta progettando spedizioni himalayane, desertiche, amazzoniche, antartiche, insomma...cose estreme.
E non sono mai riuscito a comprendere come, invece, tutta questa parossistica "pianificazione" si riferisca invece quasi sempre a normali escursioni fatte nel nostro civilizzato ambiente, quasi sempre "dietro casa" (in senso lato: ovvero stessa regione o poco più). Dove si presuppone ci sia una reticolato di strade, una collaudata sentieristica, una normale cartografia cartacea reperibile ovunque (o comunque digitale, se proprio si vuole), e quindi - in definitiva - nulla che di per sè "imponga" di doversi adattare a un approccio da Indiana Jones. Se lo si fa, andando fuori sentiero, oppure cercando di raggiungere posti dove nessuno ha messo il piede, oppure azzardando distanze impossibili sulla base del presupposto di poter trovare sempre e comunque tagli e scorciatoie inedite, beh, allora magari sì, il gps può senz'altro aiutare: però diciamo pure che allora aiuta chi vuole togliersi sfizi da Indiana Jones, chi trova divertimento e adrenalina in tutto ciò, chi gli piace affrontare situazioni "avventurose" (e relativi rischi), ma non è certo indispensabile a un normale escursionismo che può essere appagante anche senza nulla di tutto ciò.
Certo, se uno si annoia a seguire un sentiero perchè si elettrizza a calpestare terreni mai battuti dove però può incappare da un momento all'altro in un burrone, allora è ovvio che gli serva "pianificare" il percorso con pc, cartografia digitale, gps, vie di fuga e quant'altro: ma
a lui, non certo a chi trova stimolante e gratificante anche il semplice camminare su sentieri. Del resto, basta pensare proprio a tutti i vari "cammini" (peraltro proliferati in ogni dove), nei quali la necessità di orientamento è praticamente quasi azzerata, ma non per questo sono privi di fascino, anzi.
E basta pensare anche all'era pre-gps (o più in generale pre-tecnologica), che non significa secoli fa, ma anni nei quali anche la maggior parte di noi è vissuta, almeno chi ha i fatidici -anta. Si dovrebbe dire che allora, non essendoci questi strumenti, non si potesse andare in montagna ? Semmai, appunto, questi strumenti sono spesso serviti solo a "illudere" tanti - magari capacissimi nel loro uso, a tavolino, ma per nulla nella pratica escursionistica sul campo - di poterci andare...rendendo la montagna ciò che oggi è sotto i nostri occhi. E credo che forse fosse questo, in realtà, il retropensiero magari sottinteso dello stesso Stefano Ardito.
In poche parole, sembra quasi che al gps si applichi lo stesso approccio che in fondo da tempo è il presupposto dell'intero modello di business del nostro mondo: il concetto di "bisogno indotto". Propagato come le onde di un'eco, sicuramente in buona fede, da tutti coloro che magari ci si ritrovano a livello personale, ossia che effettivamente lo trovano utile, ma
per sè (e magari anche per motivi del tutto personali che c'entrano poco o nulla con l'escursione in sè: ad esempio una famiglia da non voler far stare in ansia, come se fino a 15 anni fa le ansie non si sopportassero o se ne morisse): e soltanto per questo si convincono che lo sia o lo debba essere per tutti. Spingendo a ritenere necessario e imprescindibile ciò che intrinsecamente, e a un esame appena un po' obiettivo e meno parziale, non lo sarebbe affatto.
P.S. aggiungo che addirittura questo approccio può essere persino controproducente e ingiustamente penalizzante per chi non vi si adegua. Il recente esempio, portato da Ardito, del Parco Velino Sirente che "impone" la dotazione di una "traccia" da seguire è sintomatico della deriva che può...derivarne (non è un gioco di parole): in altri termini, un soggetto si lava le mani delle proprie incombenze e responsabilità quale la cura ed il mantenimento della sentieristica e della segnaletica per le quali peraltro viene pagato con soldi pubblici - scaricandone l'onere su chi avrebbe il diritto di fruirne, e addossando all'escursionista ogni responsabilità. Basterebbe questo a rendere l'idea della distorsione. Chiunque abbia frequentato sia le Alpi che l'Appennino può rendersi conto della differenza, e non a caso - credo - lo stesso Ardito la sottolinea. Può anche essere vero che ad andare in Appennino il gps serva...sì, ma solo perchè i sentieri fanno schifo.